L’Europa vieta la plastica monouso: a che punto è l’Italia?

L’Europa vieta la plastica monouso a che punto è l’Italia?

La messa al bando dei prodotti di plastica monouso può sicuramente essere definita una delle svolte commerciali tra le più importanti mai avvenute, eppure se ne conoscono ancora troppo poco i contorni. 

Ogni volta che viene sollevata questa questione dai preminenti connotati ambientalisti, le persone tendono a pensare alle proprie singole abitudini, al loro ambito domestico.

La grigliata con gli amici, dove amano utilizzare i piatti e le posate di plastica.

La festa di compleanno con tanto di brindisi nei bicchieri di plastica.

Il proprio bambino che ha sviluppato una passione per quella famosa bibita che ama bere dalla cannuccia colorata (sempre di plastica). 

In verità la questione è ben più ampia e non si può riassumere solo con questi piccoli spaccati di quotidiano, anche in virtù del fatto che la plastica monouso viene massicciamente usata a livello industriale per i packaging e per le monoporzioni, ad esempio.

Le ragioni alla base dello stop europeo

Il problema della plastica monouso è rimasto per anni al vaglio della Commissione Europea fino a quando, con la direttiva Sup (Single Use Plastic) del 5 giugno 2019, si è deciso di fornire un indirizzo molto preciso ai suoi stati membri: nel giro di due anni avrebbero dovuto ridurre il consumo di plastica monouso e vietarne l’immissione sul mercato. 

Ma quali sono le ragioni che hanno portato ad una scelta così drastica?

È possibile parlare di una vera e propria presa di coscienza. 

Ciò che ha sempre portato tutti a vedere la plastica come una grandissima risorsa, ovvero la sua resistenza alla degradazione ed alla corrosione, è diventata la principale causa dell’odierno inquinamento dei mari. 

Ci vogliono dai 100 ai 1000 anni affinché l’ambiente riesca ad assorbire l’impatto di un solo ed unico bicchiere di plastica. Dipende dalle forze in gioco e dal potere che hanno di degradarlo. Sono tempistiche decisamente troppo lunghe e i mari si ritrovano nella condizione di essere intasati da tonnellate di plastica.

Vi è talmente tanta plastica negli oceani che si sono formate spontaneamente ben cinque isole di plastica galleggiante così estese e conosciute da aver dato loro dei nomi veri e propri.  L’area geografica coperta da queste isole di plastica è superiore a quella degli Stati Uniti.

Continuare su questa scia significa prendere una strada di non ritorno ed è impossibile non rimanere sconcertati rispetto ai dati sulle proiezioni per il futuro.

Si prevede, da un rapporto della Ellen MacArthur Foundation, una presenza di plastica nel mare superiore a quella dei pesci entro i prossimi trent’anni.

Le specie marine stanno già vivendo le conseguenze a cui porta la condivisione del loro ambiente naturale con questo materiale indistruttibile: un pesce su dieci ha della plastica nello stomaco ma a tantissimi altri animali va anche peggio visto che si nutrono in mare e ingoiando plastica semplicemente muoiono. 

A causa del principio sottostante alla catena alimentare, l’essere umano stesso ha cominciato ad alimentarsi di plastica, è un fatto.

L’emergenza legata alla microplastica

Il motivo per cui le persone non si sono rese conto di ingerire (secondo gli studi) diversi grammi di plastica al giorno, ha a che vedere col fatto che la plastica non penetra nel corpo in forma visibile.

 Le particelle degradate che si disperdono nell’ambiente e soprattutto nelle acque e che uomo e animali ingeriscono durante il processo di nutrimento hanno un diametro inferiore al millimetro ed è per questo che si parla di “microplastica”.

Il punto è che, una volta che viene introdotta nell’organismo, la microplastica mantiene le stesse caratteristiche della plastica, ovvero, pur scomponendosi in particelle più piccole non scompare ma si accumula nel corpo. 

Gli alimenti più a rischio sono il sale marino, prodotti ittici e persino la carne, dato che gli animali spesso sono nutriti da farine che contengono pesce. 

Ma nessuno è al sicuro da questa minaccia, dato che la microplastica è presente in altissima concentrazione anche nell’acqua potabile che è indispensabile alla vita.

Il problema è che i differenti tipi di plastica agiscono diversamente, alcune affondano, altre galleggiano, altre si decompongono per effetto dei fenomeni atmosferici e tra le decine di milioni di tonnellate di plastica che finisce in mare, quella che si scompone in microplastica può essere facilmente trasportata ovunque dalle correnti.

Sono state rinvenute importanti quantità di microplastica persino nel Mare Artico.

Esistono due tipi di microplastica, la primaria che è utilizzata dall’uomo per produrre diversi prodotti di cosmesi come i dentifrici e i deodoranti e la secondaria, derivante appunto dalla scomposizione delle plastiche disperse nell’ambiente.

È praticamente impossibile agire per eliminare le microplastiche in circolo, ma è d’obbligo agire per smettere di produrne di nuove, ecco il senso più importante della direttiva Sup.

Dalla teoria alla pratica: quali saranno i cambiamenti effettivi 

Sono tanti e particolarmente precisi i punti che tocca l’Europa con la sua direttiva. 

Partendo da una riduzione del consumo di prodotti di plastica monouso, si giunge al perentorio divieto di immetterne sul mercato. 

Nel corso dei due anni trascorsi dovevano, in pratica, venire meno tutte quelle pessime abitudini come consumare alimenti imballati in contenitori di plastica take-away o accumulare montagne di bicchieri di plastica a fianco dei distributori automatici di bevande calde. Ma di esempi se ne potrebbero davvero fare una infinità dato che l’uomo industrializzato ha basato la sua esistenza quotidiana sulla praticità della plastica monouso. Non si deve nemmeno lavare, la si butta e non ci si pensa più.

Quante volte abbiamo detto o sentito questo tipo di frase: “usiamo i piatti e i bicchieri di plastica così risparmiamo tempo?”. 

Peccato che poi in pochi hanno pensato davvero alle conseguenze di questo stile di vita e in troppi non sospettavano che quegli stessi prodotti li avrebbero ritrovati i loro discendenti dentro al piatti assieme al loro branzino.

Ma basta smettere di consumare e smettere di produrre e distribuire prodotti di plastica monouso? L’Europa ha disposto altrimenti.

Si deve anche imporre l’obbligo di corretta gestione di questo tipo di rifiuto: oltre alle indicazioni sui prodotti rispetto al contenuto di plastica, bisogna suggerire come riciclarlo correttamente e dar modo ai cittadini di potere effettivamente contare su un sistema di raccolta differenziata. 

Cittadini che devono essere messi in grado di sapere come e perché agire secondo queste norme, per poter essere a tutti gli effetti dei cittadini partecipi e responsabili. 

Gli oggetti su cui si deve posare particolare attenzione sono le posate di plastica (forchette, coltelli, cucchiai, cucchiaini, mescolatori per bevande e bacchette), i piatti (di plastica e di carta con film plastico), i cotton fioc, le aste per i palloncini, i contenitori in EPS utilizzati per il cibo da asporto e per le bevande compresi tappi e coperchi, oltre che qualunque prodotto monouso in plastica oxodegradabile.

Dunque non si tratta solo di far estinguere il consumo della classica plastica da tutti conosciuta, ma anche di quei prodotti monouso in carta con film plastici e in plastica oxodegradabile (cioè trattata appositamente per biodegradarsi al sole e al calore).

Può sembrare strano notare in questa lista due grandi assenti ovvero i bicchieri e le bottiglie di plastica. Una nota interessante è che la direttiva Sup non contiene la dicitura “bicchieri di plastica” ma “contenitori e tazze per bevande”.

In questo caso la tendenza è quella di incentivare il riciclo di bottiglie in PET e di lasciare spazio ai singoli Stati rispetto alle decisioni su come ridurre la diffusione dei bicchieri di plastica. 

L’importante è che entro il 2029 vengano raccolte il 90% delle bottiglie di plastica (con capacità fino al tre litri) e che, tra il 2025 e il 2030 il contenuto che hanno di plastica riciclata passi dal 25 al 30% per bottiglia.

Qual è la risposta italiana all’Europa?

Guardando un po’ agli interessi nazionali ci si può chiedere a che punto sia l’Italia oggi, dato che il termine ultimo per il recepimento della direttiva Sup dovrebbe essere scaduto il 3 luglio di quest’anno. 

L’Italia (assieme alle europee Spagna e Francia) dovrebbe sentirsi particolarmente coinvolta in questa lotta alla plastica dal momento che il mar Mediterraneo è sesto nella classifica delle acque più inquinate da questo tipo di materiale che costituisce ben il 95% dei rifiuti presenti al suo interno.

Ma c’è un conflitto di interessi da non sottostimare: l’Europa stessa è il secondo produttore al mondo di plastica, superato solamente dalla Cina. 

La prospettiva da assumere deve essere necessariamente quella di passare dall’economia basata sul prodotto di plastica usa e getta (ovvero una economia lineare) ad una economia circolare basata sul riciclo e sul riutilizzo. 

Il nostro paese è tra quelli che più attivamente si sta dando da fare per rispondere in maniera creativa ed efficace alla direttiva, ma per quanto il dibattito politico sia acceso si procede a scatti.

 In alcuni casi si è già riusciti ad andare ben oltre i requisiti imposti dall’Unione Europea (come nel caso delle misure di sensibilizzazione e dei requisiti di marcatura, dove vengono segnalate sulla confezione dei prodotti monouso la presenza di plastica e la sua corretta modalità di smaltimento), in altri si evidenziano grosse difficoltà nel dialogo a causa di un conflitto di interessi pubblici e privati. 

D’altra parte lo stivale produce il 60% dei prodotti usa e getta presenti in Europa, con un fatturato di oltre 800 milioni di euro l’anno.

Quello che avrebbe dovuto fare il Parlamento, entro luglio, era produrre un documento dove comunicava all’Europa i provvedimenti presi e gli obiettivi fissati dal paese rispetto alla riduzione della plastica monouso e alle alternative che avrebbe dato ai consumatori.

Con qualche mese di ritardo, il governo si è apprestato a trasmettere alla Commissione Europea, in data 22 settembre 2021, uno schema di decreto legislativo di recepimento della normativa. 

Ma l’Italia ha richiesto all’Europa una deroga rispetto ai prodotti monouso in materiale biodegradabile e compostabile certificato dato che non sempre è possibile riutilizzare la plastica.

 L’Italia si sente forte delle sue tecnologie utilizzate in ambito di riciclo dei materiali bioplastici e si ritiene una presenza attivamente impegnata nello smaltimento dell’organico e vuole che questo venga tenuto in conto.

Dunque dispone che possano venire immessi sul mercato prodotti monouso in plastica biodegradabile e compostabile certificata, sebbene questo sia in contrasto con le linee guida europee.

Il problema è che se le misure del paese dovessero essere ritenute diverse da quelle richieste dall’Europa, la Commissione Europea potrebbe avviare una procedura di infrazione e sanzionare l’Italia.

E a proposito di sanzioni, con la legge bilancio 2020 è stata introdotta la “Plastic-tax” con la quale si sanzioneranno economicamente i prodotti in plastica di utilizzo singolo (tranne i prodotti riciclati o compostabili e quelli con una percentuale di plastica inferiore al 40%).

La tassa è a carico del fabbricante del prodotto o del suo importatore ed ammonta a 0,45 € per chilogrammo di plastica.

Mentre, per agevolare tutte le aziende che si adeguano alle disposizioni, è stato previsto un credito di imposta del 10% riguardante le spese che si sosterranno per l’adeguamento e la conversione ai prodotti compostabili.

 Al di là di queste considerazioni L’abolizione del diritto plastica per utilizzare materiale bio, fissato per il termine di dicembre, non  è ancora ufficiale. Nella scorsa estate si pensava che la sostituzione dei prodotti in plastica sarebbe stata totale ma ora secondo indiscrezioni a gennaio verranno sostituiti SOLAMENTE PIATTI, CANNUCCE E POSATE ma non i bicchieri.

 Per quanto riguarda i piatti e le posate  invece si pensa di usare plastica più spessa che può essere usata più volte. Ma il problema principale potrebbe essere il possibile veloce esaurimento delle scorte della plastica che costringerebbe le persone a optare per i prodotti bio compostabili ma con possibili ripercussioni economiche che potrebbero gravare solo sulle loro tasche.

Il futuro che ci si prospetta e qualche linea guida di comportamento

Quale scenario è possibile prospettare oggi, rispetto all’attuale stato di cose?

Qualche segnale comincia a vedersi:infatti i colossi della grande distribuzione come CONAD, COOP, LIDL, EUROSPIN si stanno attrezzando per esporre  i nuovi prodotti o addirittura qualcuno ha già abolito la vecchia plastica, segno che qualcosa da gennaio cambierà.

Rispetto alla presa di posizione italiana sui prodotti bio, lo schema di decreto del governo continuerà ad essere vagliato dalla Commissione Europea fino ad dicembre, perciò gli ultimi mesi di questo 2021 sono ancora in regime di status quo.

I prodotti in bioplastiche e plastiche vegetali hanno generalmente un costo più alto di quelli che devono andare a sostituire, ma ciò può essere risolto grazie ad una politica che sappia creare i giusti incentivi per la produzione e la diffusione di questo tipo di materiali, in modo che i cittadini si rivolgano al loro acquisto senza rimetterci troppo economicamente come accennavamo prima.

 Bisogna vedere se l’Europa sarà disposta a trattare dell’articolo tre della direttiva SUP, riguardante il divieto esteso ai polimeri modificati chimicamente.

Intanto ci si può rivolgere in tutta sicurezza all’acquisto e all’utilizzo di prodotti monouso prodotti in polimeri naturali. 

Via libera dunque a prodotti creati con naturali organici come le fibre di canna da zucchero, di cocco, di caucciù, di riso, di bambù, di canapa e di cellulosa.

Si pensa comunque che si potrà contare su nuove e future proroghe, specialmente per quanto riguarda i prodotti più controversi, come ad esempio i bicchieri di plastica.

Nel mentre è meglio guardarsi intorno e scoprire che alcuni stralci di futuro sono già tra noi. Non solo un ampio mercato in continuo sviluppo di prodotti monouso biologici, ma anche tantissime opzioni in materiale riutilizzabile.

Cominciare a adottare comportamenti individuali e a fare scelte commerciali mirate, può sicuramente essere considerato un comportamento virtuoso che mira a fare gli interessi di tutti.

Oltre ai comportamenti individuali la partita come sempre si gioca a livello politico:bisognerà capire se si cercheranno soluzioni che siano compatibili con le esigenze dell’ambiente, sempre più incombenti, e quelle dei cittadini che hanno paura di dover pagare lo scotto più pesante

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